martedì 14 settembre 2010

Nessuno spettegola sulle qualità segrete degli altri

L’indignazione e le sue varianti non esauriscono le emozioni morali. Quattro dei cinque temi di Haidt – giustizia, lealtà, rispetto dell’autorità, purezza – sono virtù e suscitano in noi emozioni di plauso. Ammiriamo il padre giusto che non fa preferenze fra i suoi figli, l’amico leale che sta al nostro fianco, il soldato esemplare che scatta sull’attenti quando entra un superiore, il sorriso incontaminato dei bambini. Anche il quinto tema – il danno – ha un rovescio virtuoso nella generosità verso gli altri. Queste manifestazioni del bene sono i rari momenti in cui il mondo ci appare sano.

Due tratti distinguono le emozioni di plauso dall’indignazione e le sue varianti.
  1. Possono essere autodirette: mentre ci indigniamo solo degli altri, applaudiamo sia gli altri, sia noi stessi. Ci felicitiamo di ogni nostra esibizione di generosità, giustizia, lealtà, deferenza per i capi e, come Himmler, ci piace immaginarci puri. Per questo motivo i custodi della morale rimproverano il virtuoso che si compiace delle sue opere buone, invitandolo alla modestia, che è la virtù (forse mitica) che consiste nel non sentire emozioni di plauso verso noi stessi.
  2. Sono tiepide: mentre le violazioni morali ci fanno uscire il fumo dalle narici, le azioni buone ci inducono sorrisi fugaci. La folla lincia i bruti colti a molestare i bambini e osserva olimpica il pedone che aiuta la vecchietta a traversare la strada. Rimuginiamo sui torti subiti per decenni, dimentichiamo i favori ricevuti dopo pochi giorni. I giornalisti, che sanno cosa appassiona il pubblico, sbattono il mostro in prima pagina e il filantropo nel trafiletto della cronaca locale.
Jonathan Haidt e una sua collaboratrice hanno analizzato un campione di conversazioni registrate e calcolato che le storie che la gente racconta sulle buone azioni altrui sono un decimo delle storie sulle trasgressioni. Queste ultime, dicono i due, ci rendono euforici: “Quando la gente diffonde pettegolezzi di alta qualità (‘succosi’) si sente più potente, ha un maggiore senso condiviso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e si sente unita più strettamente ai compagni di pettegolezzo”. Diceva Bertrand Russell: “Nessuno spettegola sulle qualità segrete degli altri”.

A volte i pettegoli sono mossi dal calcolo, perché sperano di trarre vantaggi strategici dal rovinare la reputazione degli altri. Ma sparlare è una delizia in sé, come dimostra l’interesse dei pettegoli per le stelle della TV, i regnanti e altre personalità cui non hanno il potere di fare del male.

La nostra ossessione per le carenze morali del prossimo si rivela anche nelle confabulazioni cui ci abbandoniamo contro chi ci dà un motivo di malanimo. Un amico tarda a un appuntamento senza avvertire? Mentre lo aspettiamo, elenchiamo nella mente tutti i suoi storici vizi, che trovano un compimento perfetto nel ritardo che sta facendo. Un collega ci nega un favore? I nostri occhi si aprono sui diecimila piccoli torti che ci aveva già fatto in passato, e di cui fino ad ora non ci eravamo accorti. Queste confabulazioni interne sono rozze, politicamente scorrette e abbondano in parolacce, non importa quale sia il nostro stile abituale. Non distinguereste un poeta da un camionista se poteste ascoltarle.

I pettegolezzi non sono che la versione per il pubblico di queste confabulazioni interiori. In ogni caso, i pettegolezzi ci danno materiale di cui parlare, animando conversazioni che altrimenti non valicherebbero la fase iniziale dei commenti sul tempo. Inoltre, i pettegolezzi sono una fonte di informazioni per gli affari e le relazioni sociali. I pochi coscienziosi che trovano ineducato sparlare degli assenti restano ignari degli ultimi sviluppi nel loro ambiente, scoprono le navi quando sono già salpate e non fanno carriera.

Gli scienziati sociali, sempre a caccia di dati sulle pratiche umane, dovrebbero sfruttare di più il nostro gusto per il pettegolezzo. Un sociologo che vuole studiare gli ospedali di solito chiede ai medici di parlargli del loro lavoro. In risposta il sociologo ottiene castelli in aria, perché i soggetti rimasticano le loro esperienze quotidiane per trarne un ritratto presentabile di se stessi. Se il sociologo dicesse ai medici “Mi parli dei suoi colleghi” otterrebbe dati più veri e succosi sulla vita ospedaliera.

Che la gente dedichi il 90% delle conversazioni a sparlare degli assenti implica che c’è un 90% di probabilità che i nostri conoscenti, colleghi, amici e parenti sparlino di noi quando non ci siamo. Significa che un’altra forma di ipocrisia, quella per cui la gente ci pugnala alle spalle e ci sorride di fronte, è inevitabile. La gente sparla di noi perché farlo l’euforizza e ci sorride per mantenere il rapporto. Come diceva Blaise Pascal, “Se tutti sapessero ciò che uno dice dell’altro non ci sarebbero quattro amici al mondo”.

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martedì 7 settembre 2010

Controllo sociale

Anche se le nostre emozioni morali sono rivolte contro gli altri, siamo sensibilissimi a queste emozioni quando gli altri le dirigono su di noi. Vi hanno mai accusato in pubblico di essere un malfattore? Di essere parziale? Sleale? Irrispettoso? Sporco? Come avete dormito la notte successiva? Se queste accuse erano vere, vi sarete sentiti avviliti come un bambino che se l’è fatta addosso. Se erano false, vi sarete rigirati nel letto temendo che qualcuno credesse al vostro accusatore.

La nostra sensibilità alle critiche altrui rimedia alla freddezza emotiva verso i nostri peccati. Non ci vuole la teoria dei giochi per capire che una società dove (a) ognuno è pronto a indignarsi delle colpe degli altri e (b) l’indignazione altrui ci tiene svegli di notte può trovare un equilibrio dove in molti evitiamo di peccare per amore della tranquillità. Questa paura del giudizio altrui svolgerà il ruolo di poliziotto interiore che le emozioni morali, eterodirette, rifiutano. Diceva il grande R.L. Mencken: “La coscienza è la voce interiore che ci dice che qualcuno potrebbe vederci”. Ovviamente, faremo tutti i peccati che siamo in grado di fare di nascosto ma, nel vasto spazio della vita che conduciamo sotto lo sguardo curioso degli altri la maggioranza di noi rinuncerà ai danneggiamenti, alle ingiustizie, alle slealtà, ai vilipendi dell’autorità e alle porcherie.

Biasimare il prossimo può essere un mezzo di controllo sociale persino più efficace delle emozioni morali autodirette che la natura non ha voluto fornirci. Immaginate un mondo dove invece tutti le avessero e inorridissero al solo pensiero di rubare una mela. Non è arduo immaginarsi questo mondo perché è proprio come la gente ama descriversi. L’orrore del furto, per quanto forte, sarebbe in dissidio interiore con la tentazione di rubare, che a sua volta può essere gagliarda (per esempio se avete fame). Un dissidio interiore è una lotta di uno contro uno. Il giudizio degli altri, invece, è una lotta di molti contro uno. Quando è più probabile che l’affamato rinunci a rubare la mela? Quando lotta contro sé stesso per non farlo, o quando è circondato da vicini pronti a manganellarlo se si avvicina all’albero?

Che il controllo sociale si fondi sul biasimare il prossimo implica che l’ipocrisia può essere benefica. L’ipocrita che fa il male in segreto ma castiga in pubblico i delitti di tutti può ridurre la quantità di azioni antisociali più del giusto che si comporta bene ma non si cura della condotta degli altri. È un’ipotesi sgradevole, ma escluderla sarebbe belief overkill ("l’ipocrisia è cattiva, quindi è dannosa").

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