martedì 27 luglio 2010

Credenze e opinioni

Il filosofo Daniel Dennett distingue le convinzioni umane in “credenze” ed “opinioni”. Le credenze sono disposizioni ad agire o, se preferite, sono i contenuti impliciti in queste disposizioni. Se vedete che la vostra tartaruga sta per cadere dal tavolo, e vi allungate a fermarla perché non si faccia male, il vostro gesto implica la credenza che “le tartarughe non volano”. Questa credenza è pre-riflessiva, perché non avete bisogno di pensarla per agire. Anzi, può darsi che oggi sia la prima volta che vi fermate a riflettere che le tartarughe non volano, anche se è certo che lo credevate prima di aprire questo libro.

Le opinioni sono enunciati che siamo convinti che siano veri. Alcune opinioni non sono che credenze promosse all’espressione verbale. Se io dico “Le tartarughe volano?” e voi “No, le tartarughe non volano!” aggiungete alla credenza un’opinione.

Invece, altre opinioni sono orfane delle credenze corrispondenti. A volte la credenza manca perché è umanamente impossibile da produrre. Siamo convinti che “la luce viaggia a 299.792 km al secondo” perché leggiamo l’enunciato in tutti i manuali di fisica e lo prendiamo per vero. Tuttavia, il nostro comportamento implica al massimo che la “luce è molto veloce” – per esempio, non ci attendiamo ritardi visibili fra la lampada che si accende e l’arrivo della luce sulla scrivania. La ragione è che, a parte Nembo Kid, non abbiamo reazioni tanto rapide da pareggiare la velocità della luce.

Altre volte la credenza è alla nostra portata fisica ma l’opinione, sia pure certissima, è incapace di ispirarla. I medici ci possono convincere che “troppi dolci fanno male alla salute” senza intaccare la nostra disposizione imperiosa a ingollare qualsiasi cioccolatino ci capiti davanti. La dieta è un’opinione, il cibo una credenza.

Ancora, può capitare che certe emozioni ci facciano sposare un’opinione e altre spronino le credenze in direzione opposta. Un sentimento di deferenza per il valore della vita può convincerci che “la pena di morte è sempre sbagliata” ma, davanti a un crimine immondo, possiamo provare il desiderio rabbioso di strangolare il colpevole. Questa reazione implica che crediamo che certi crimini meritino la morte, l’opposto dell’opinione che sosteniamo.

Le credenze sono relazioni fra noi e il mondo; le opinioni sono relazioni fra noi e i concetti. Per definizione, le credenze sono operative 24 ore su 24, in attesa che un evento inneschi la disposizione ad agire. Le opinioni, invece, diventano azioni solo se sconfiggono i nostri interessi egoistici, le nostre eventuali credenze opposte e gli impulsi più vari che ci attraversano la testa e il corpo. Spesso le opinioni soccombono: abbiamo la certezza intellettuale che al mattino dobbiamo alzarci appena suona la sveglia e rimaniamo a letto. Il trionfo della credenza che dormire è bello.

È possibile che la condotta di Voltaire verso Rousseau nascesse dal fatto che giudicava la tolleranza una virtù (opinione) ma difettava della disposizione a tollerare (credenza). Talvolta l’opinione trovava strada libera, spingendo Voltaire a difendere gli scrittori perseguitati e le vittime del fanatismo. Erano le circostanze dove Voltaire non aveva interessi personali in gioco, e nessun impulso naturale a unirsi alle persecuzioni. Nel caso di Rousseau, l’opinione trovò la strada sbarrata dal furore contro il rivale.

Gli ipocriti puri hanno opinioni vuote, senza alcuna disposizione ad agire che non sia il proclamare quelle opinioni con gusto. Gli ipocriti episodici hanno opinioni efficaci ma conservano disposizioni ad agire nella direzione opposta. Di solito, le disposizioni vincono nelle vicende personali, dove abbiamo interessi diretti ed impulsi esuberanti. Voltaire era convinto che il furore non fosse una buona ragione per perseguitare qualcuno ma il suo furore contro Rousseau gli riusciva più persuasivo. La madre antiabortista era convinta che l’aborto fosse ingiustificabile, ma per sua figlia trovava una giustificazione. Foley era convinto che i valori della famiglia fossero assoluti, ma quando vedeva un bel giovane gli veniva di fare un’eccezione.

Comunque, gli ipocriti episodici sono ipocriti. Se non riusciamo ad applicare un principio nella nostra vita non abbiamo titolo a chiedere che gli altri lo applichino nella loro. In una sola ipotesi Voltaire, la madre antiabortista e Foley avrebbero meritato di essere derubricati a persone sincere che sbagliano ogni tanto, quella in cui avessero espresso le loro opinioni per ciò che erano: giudizi intellettuali. Al contrario, fingevano di averle nelle viscere. La madre antiabortista si atteggiava a paladina dei feti. Foley era “disgustato” dall’omosessualità. Quanto a Voltaire, non si limitava a dire che il mondo sarebbe più felice se tutti fossimo tolleranti, ma si dichiarava tollerante come persona. Lo vedete nella frase “… darei la vita perché tu possa continuare a scrivere” e dove dice che si sarebbe “sentito colpevole” a opprimere uno scrittore. C’è anche una lettera del 1766 a Hume dove Voltaire, oltre a negare di avere avuto una parte nelle disgrazie ginevrine di Rousseau, dice di “detestare troppo i persecutori per esserlo”.

L’ipocrita attribuisce al suo carattere ciò che al massimo è un’opinione che ha deciso di seguire (dico “al massimo” perché negli ipocriti puri l’opinione è solo declamatoria). Anche quando mette in pratica l’opinione, l’ipocrita ascrive a sue invincibili nobili disposizioni ciò che invece è soggetto al caso. L’azione può essere buona, ma le parole restano fasulle. L’ipocrisia è una malattia del discorso, non dell’azione.

Una conseguenza è che l’ipocrita sarà un inaffidabile più che un traditore. Il fatto che non creda alle opinioni che professa non implica che vi verrà meno, ma che la sua condotta dipenderà dalle situazioni. Scopriamo che è un ipocrita quando mutano, e se non mutano può conservare la stima della società per tutta la vita.

Un’altra conseguenza è che ci sono solo due vie al non essere ipocriti.
  1. Tacere: non enunciare princìpi, non parlare bene di se stessi, non giudicare gli altri, in generale esprimere opinioni solo in materie moralmente fredde (velocità della luce, tartarughe, ecc.).
  2. Parlare, ma riconoscere che le nostre opinioni nascono dalla mente e come tutti fatichiamo a seguirle. Ciò ci impone di argomentare le opinioni, invece di proclamarle con sentimento, dimostrando che abbiamo lavorato per controllare se sono vere.
Sono vie poco battute perché il silenzio, i discorsi distaccati e le argomentazioni annoiano il prossimo. Ciò aiuta a spiegare perché gli ipocriti, che sono chiacchieroni, moralmente caldi e in apparenza con il cuore in mano siano tanto amati.

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martedì 20 luglio 2010

Credulità e dissonanza cognitiva

Molti studi hanno portato alla luce una nostra resistenza ad accettare informazioni discordanti. Se due segnali vanno in direzioni opposte, sentiamo un disagio che gli psicologi chiamano “dissonanza cognitiva”, dal quale usciamo scartando uno dei due segnali. Il risultato è una visione assolutista dove c’è solo il segnale residuo.

Un esempio è fornito dalle nostre reazioni al rischio. Alcune ricerche mostrano che i residenti di un paese a valle di una diga sono certi che il crollo sia impossibile: accolgono come un oracolo tutte le rassicurazioni dei tecnici (pagati dai proprietari dell’opera) e attribuiscono i tragici crolli delle dighe del passato a guasti irripetibili. In realtà c’è sempre il rischio che una diga crolli, così come c’è il rischio che l’aereo su cui state volando cada, o che la corda dell’ascensore in cui siete entrati si spezzi. Però odiamo soffermarci su questi pensieri. Così, o cancelliamo il rischio dalla mente, e ci comportiamo come fossimo invulnerabili alla sfortuna, o cancelliamo le rassicurazioni, e ingigantiamo il rischio fino a renderlo intollerabile. Avete così i paurosi che non prendono l’aereo, che salgono otto piani di scale a piedi pur di evitare l’ascensore, o che abbandonano il paese dove hanno costruito la diga.

Un secondo esempio è il “belief overkill”, la nostra tendenza a credere che tutti i valori siano in accordo. Un ambientalista che chiede fonti di energia pulite tenderà a pensare che siano anche meno costose di quelle tradizionali. Un oppositore alla pena di morte tenderà a convincersi che, oltre che immorale, sia anche inefficace come deterrente. Il belief overkill è un rifiuto dei dilemmi, e in particolare della possibilità che ciò che è ingiusto possa funzionare, o ciò che è giusto fallire. Una cosa ha tutti gli attributi positivi o tutti gli attributi negativi. I valori cantano in coro.

Nel 2003 il cardinale Alfonso Lopez Trujillo disse alla BBC che il virus dell’AIDS è piccolo e può attraversare la parete del preservativo. È escluso che Trujillo lo abbia letto in qualche ricerca seria. L’unico rischio è che il preservativo si rompa; altrimenti, il lattice di cui è fatto è impermeabile sia agli spermatozoi sia ai virus. È probabile che il cardinale sia stato vittima di belief overkill (il preservativo è immorale, quindi non funziona), accompagnato da un’ignoranza coltivata degli studi medici che avrebbero potuto aprirgli gli occhi.

All’epoca, Trujillo guidava il Pontificio Consiglio per la Famiglia, l’organismo del Vaticano che gestisce i programmi per l’educazione sessuale dei giovani e i corsi di preparazione al matrimonio.

Un terzo esempio è la “sospensione dell’incredulità”, la facoltà che secondo i teorici della letteratura ci permette di fruire i romanzi: il lettore sa che i personaggi sono immaginari, eppure gode e soffre con loro come fossero reali. Anche il cinema e il teatro ci suscitano la stessa reazione, tanto che al termine di un film con un finale aperto discutiamo con i nostri compagni di visione di cosa accadrà ai personaggi in seguito. Una discussione irrazionale, dato che i personaggi non hanno vita fuori dall’opera.

A volte l’incredulità permane: l’opera è malfatta e non riusciamo a concederle realtà. Se è un romanzo, notiamo la scelta delle parole, la costruzione dei dialoghi, la tecnica narrativa e tutti gli artifici dell’autore che avrebbero dovuto restare invisibili. Se è un film, ogni scena diventa ridicola e iniziamo a dire battute sarcastiche sugli attori e il regista. Notate la polarizzazione: o una storia ci coinvolge o ci pare una becera finzione meccanica.

La credulità verso l’ipocrisia ha qualcosa di tutti e tre questi esempi. Uno, c’è sempre il rischio che una persona non sia chi dice di essere. A volte sfoderiamo il principio di precauzione e teniamo quella persona al largo; altre volte cancelliamo il rischio dalla mente e ci lasciamo imbrogliare.

Due, il buon ipocrita ha l’abilità di presentarsi bene: sorride, è amichevole, ha un aspetto tranquillizzante. Possiamo credere che sia anche onesto per belief overkill.

Tre, l’ipocrisia è una recita e può farci sospendere l’incredulità. Una parte del nostro cervello sa che stiamo assistendo a una messa in scena, un’altra l’accetta come reale. Se a teatro cercaste di convincere i vicini di posto che l’attore non potrà mai entrare nel castello (“è un fondale di cartapesta!”) li irritereste, e l’irritazione nasce dal fatto che volete indurli a un’inutile dissonanza cognitiva. La stessa irritazione manifestano i cattolici se criticate il papa che predica contro il superfluo, notando che ha in testa un ermellino.

Inoltre l’ipocrisia polarizza, proprio come la dissonanza cognitiva. L’ipocrita è lodato finché è creduto e insultato quando cade in disgrazia. È adorato dai compagni e detestato dai rivali, i quali a loro volta adoreranno qualche ipocrita detestato dai primi. Pensate alle campagne elettorali, che sono gare di ipocrisia fra i partiti, dove ogni militante si scandalizza delle promesse irrealistiche degli avversari, e difende come il Piave le promesse irrealistiche dei suoi candidati.

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giovedì 15 luglio 2010

Scene di vita



San Firmino (Spagna). L'ammazzatore Manuel Jesus Cid, meglio noto come "El Cid", si vanta di avere atterrato la sua vittima durante la classica festa estiva locale. Il toro, che sputa sangue dalla bocca, morirà poco dopo.
Foto di Vincent West (Reuters).

martedì 13 luglio 2010

Potete condannare il superfluo con un cappello di ermellino in testa e ricevere gli applausi della folla

Lo Schema 2 (“Se X suona bene, X!”), che spinge l’ipocrita a credere nella sua stessa recita, spinge anche gli spettatori a farsi sedurre. Tutti abbiamo in mente personaggi pubblici che, nonostante la loro ipocrisia quasi solare, affascinano milioni di persone di intelligenza normale. Gli adoratori dell’ipocrita sono informati delle sue malefatte ma evitano di prenderle in considerazione e si indignano della nostra malignità se insistiamo a sottolinearle. Ciò implica che il grosso della popolazione respinge l’ipotesi che ho appena introdotto – quella che gli esseri umani fanno innanzi tutto i loro interessi. Altrimenti le classiche frasi altruistiche dei politici nei comizi, come “Il mio unico faro sarà l’interesse dei cittadini!”, creerebbero un silenzio imbarazzato nella platea. Poi dal fondo si leverebbe una voce: “Sì, figuriamoci!”. Sappiamo che invece la platea applaude e si scalda, come fosse la frase esatta che voleva sentire.

Allo stesso tempo, sarebbe impreciso dire che ci beviamo ogni frottola degli ipocriti. Piuttosto, dividiamo la società in due fette: gli “altri” e i “nostri”. Ai primi riserviamo uno scetticismo feroce e non ci lasciamo scappare un solo indizio della loro malafede; ai secondi assicuriamo l’immunità diplomatica dai fatti. A Natale, vedete il papa in TV che biasima il consumismo, i doni dispendiosi, il superfluo e invoca il ritorno alla semplicità esteriore. Nello spezzone filmato successivo, la guida della Chiesa stringe le mani dei fedeli acclamanti indossando un camauro, il costoso cappello papale in velluto rosso e bordo di ermellino. Dato il discorso che ha appena pronunciato, vi aspettereste che indossasse un’umile cuffia di maglia di lana, più che sufficiente per scaldargli il capo. Eppure i fedeli sono felici. Se il politico che abbatteva una sequoia per tenere un discorso ecologista vi pareva un’esagerazione, ecco, nella vita reale potete condannare il superfluo con un ermellino in testa.

Non solo lo scetticismo verso i “nostri” è innaturale, ma vi procura il titolo di pecora nera se lo praticate. I cristiani ricordano San Tommaso come il peggiore degli apostoli, tanto che Dio lo avrebbe punito con un martirio umiliante (la crocifissione a testa in giù). Quando Gesù apparve ai dodici e si dichiarò tornato dai morti, San Tommaso fu l’unico a fare la cosa di buon senso: accertarsi che fosse proprio Gesù.

Lo Schema 2 dovrebbe però consentire agli esseri umani di correggere le teorie false quando sono dolorose. L’ipocrisia lo è, sia per le malefatte che l’ipocrita perpetra a nostro danno, sia per la delusione di vederci traditi da chi giudicavamo un amico o un santo quando scopriamo che stava solo recitando. Queste fregature non dovrebbero accendere in noi uno scetticismo generale verso l’umanità? L’incontro amaro con il primo ipocrita non dovrebbe vaccinarci dagli ipocriti successivi? Al contrario, capita spesso che ci facciamo ingannare per tutta la vita dagli ipocriti che si avvicendano, o più volte dallo stesso ipocrita imperterrito.

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sabato 10 luglio 2010

martedì 6 luglio 2010

C'è un limite all'altruismo, nessuno all'egoismo

Gli ipocriti dicono di “ubbidire” ai princìpi morali, ai sentimenti e ad altre ragioni nobili che impedirebbero loro di agire in modo diverso da come fanno – o dicono di fare. Nella realtà, se sono esseri umani come gli altri, gli ipocriti saranno guidati dai loro interessi, come i soldati tedeschi che decidevano se ubbidire al Führer o no in funzione di cosa avrebbero potuto ricavarci.

Non dubito che gli esseri umani abbiano in loro scintille di altruismo. Per esempio, gli psicologi moderni hanno raccolto evidenze convincenti di un nostro istinto a ricambiare i favori ricevuti e ad aiutare gli estranei in difficoltà (passanti che cadono, donne aggredite, ecc.). Comunque, i nostri bisogni egoistici – materiali od emotivi – dominano nel lungo termine la nostra condotta verso chiunque non sia nostro figlio o un altro parente strettissimo.

Gli economisti hanno dato un nome gentile a questa predilezione per noi stessi e la nostra cerchia: “altruismo limitato”. Tecnicamente, l’altruismo limitato è il fenomeno per cui quando siamo altruisti, lo siamo solo in una certa quantità, mentre quando siamo egoisti lo siamo senza limiti. Prendete San Martino, venerato dai cristiani per la sua generosità. Dice la tradizione che in un giorno d’inverno San Martino incontrò un mendicante seminudo e infreddolito. Il santo, che all’epoca era soldato, estrasse la spada, tagliò il suo mantello in due parti e ne diede una al mendicante. Vedete che l’altruismo di San Martino, pur fuori dal comune, si fermò al 50% del bene. Un egoista se lo sarebbe tenuto tutto (100%).

Se questi sono i santi, dovete aspettarvi che nella massa della popolazione la percentuale di altruismo sia ancora più bassa. E infatti le stime internazionali dicono che le donazioni filantropiche private si fermano all’1,85% del PIL nel paese più munifico, gli Stati Uniti. Significa che gli americani spendono per sé e per la loro famiglia 98 dollari e 15 centesimi ogni 100 dollari di reddito. In Italia, uno dei paesi più avari, le donazioni sono lo 0,11% del PIL.

Alcuni studiosi affermano che una misura precisa della generosità di un paese dovrebbe includere, oltre alle donazioni, le ore di volontariato svolte dai cittadini. In realtà, non è detto che il volontariato sia una forma di altruismo, dato che i volontari operano in associazioni dove possono appagare, sia pure lavorando, i bisogni di contatto umano che altri sfogano organizzando una festa con gli amici. Inoltre, il volontariato può procurare contatti utili per gli affari. L’economista Robert Frank ha scoperto che i volontari che si offrono di raccogliere fondi per le cause benefiche, visitando porta a porta le case del quartiere dove abitano, sono in numero sproporzionato agenti assicurativi, immobiliaristi e venditori di auto.

Le stesse donazioni in denaro potrebbero essere meno altruistiche di quanto appaia. John List, un altro economista, ha scoperto che i contributi in denaro degli uomini aumentano fra il 50 e il 100% quando il volontario che li visita è una giovane donna attraente.

Comunque, assumiamo pure che sia le donazioni, sia le ore di volontariato sgorghino dall’amore per il prossimo. Sommando i due valori, il paese complessivamente più altruista (l’Olanda) non supera il 4,95% del PIL. L’Italia, che ad ascoltare i nostri politici è la terra del volontariato, tocca solo lo 0,91%, in coda a quasi tutti i paesi sviluppati (e all’Uganda: 1,12%).

Potreste obiettare che l’altruismo non si esprime solo nelle donazioni e nel volontariato, ma anche nei piccoli gesti, in un sorriso, nel pregare per gli infelici. Però questa obiezione, più che aiutare l’altruismo, lo degrada a un sentimento che si manifesta solo se non ci sono spese.

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